PEGASO & BOUNTY KILLER

By Sergio Invernizzi

Carneade, chi era costui?
Vi ricordate il dubbio di Don Abbondio di manzoniana memoria?
Ebbene ripropongo il tema: “Pegaso & Bounty Killers, perché ?
Una domenica pomeriggio, in quell’enclave che è denominata Brianza, località Barzago, anno domini … qualche lustro fa.
L’incontro con Giorgio Levi resta per me memorabile per la qualità del personaggio, uomo di cultura, abile disegnatore, scrittore per celia ma raffinato.

Piccolo inciso:
La fortuna sta nell’incontro di qualcuno che cerca le persone, in una società chiusa in se stessa o come nel mondo giovanile, proietta in un supporto virtuale mediato dal computer via Internet.
Nella rinuncia dell’incontro non facciamo altro che incontrare sempre noi stessi come in uno specchio, in solitudine che potrebbe farci impazzire senza la possibilità di vedere al di là di noi stessi.
Alla mia richiesta del perché del nome di Pegaso, il suo stupore si trasforma in un profluvio di notizie e da quel momento la nostra conoscenza fino allora superficiale diventerà sempre più profonda (anche per motivi professionali), divertendoci in seguito a collaborare in alcuni racconti di argomento bridgistico.
“Come dovresti sapere, Pegaso era un cavallo alato della mitologia greca, figlio di Medusa e Poseidone, partorito dal collo de‐troncato della madre uccisa da Perseo”.
Timidamente ribatto: ”Perseo che, salito sul cavallo e armato con la testa di Medusa, pietrificò Atlante e liberò Andromeda facendola diventare sua sposa”. “Esattamente” sorride sornione Giorgio “E, come puoi costatare guardandoti attorno, ci troviamo in un centro ippico…”.
Questo fu l’incipit.
I racconti di Giorgio (Editi da Mursia) sono molto divertenti e ironici; personalmente ne ho fatto tesoro e ve ne propongo una rielaborazione di qualche tempo fa.

Bounty Killers
Torneo Nazionale qualsiasi, a coppie. Sistema Mitchell.
Al tavolo uno, in Nord‐Sud siede una coppia che è tutto un programma: lei, trentacinquenne, bruttina, zittellina, con gli occhiali, senza trucco ed i capelli raccolti sulla nuca con 2 forcine; lui, suo padre, sessantenne grassone, zitellone, con gli occhiali, senza trucco , senza capelli e quindi senza forcine.

Ed ecco che arrivano al tavolo per giocare la prima mano due noti Killers: grinta dura, sistema convenzionalissimo, con variazioni segrete, segnalazioni accurate con le mani, con soffiate di naso, colpi di tosse. “Mamma mia sono emozionata!” apre la conversazione la figlioletta, con un vocino da suora apprendista “Capiranno, lor signori è il mio primo torneo.
Paparino mi hanno spiegato che le carte non si giocano in mezzo al tavolo, ma io … chissà che confusione farò! Spero che loro mi scuseranno, vero ?”

“Eccome no!” risponde con un ghigno uno dei due Killers, mentre un bagliore metallico gli lampeggia nell’occhio destro, perché il sinistro è coperto da una benda nera.
“Chi distribuisce le carte, chiede il padre con sguardo candido. “C’è scritto li” gracchia l’altro killer, indicando con il mento il board sul tavolo, mentre un lampo satanico gli sgorga dall’occhio sinistro, dato che il destro è coperto da una benda nera.
“Insomma tocca a lei” conclude spazientito il killer con la benda sinistra, tagliando il mazzo. “Oh grazie! Sorride Adalgisa. E con mano incerta distribuisce le carte: “A chi tocca?”, chiede Adalgisa, in Sud, con un tono da coro di voci bianche, mentre con le due manine cerca di tenere insieme le tredici carte per formare un ventaglio.

A mio nonno !” risponde secco Est. “ Ma tocca a te, mia cara: hai dato tu le carte”, interviene il Paparone, cercando di tranquillizzare la figliola con la sua voce calma e suadente. “E’ vero! … scusate tanto. Allora ….. dirò … 1”.

“1” risponde bonario il padre.

“Hai detto 1paparino? Allora dirò 2”. “Tre senz’atout” aggiunge comprensivo il sant’uomo. “Hai detto 3 Sans Atout paparino? Allora se non mi sgridi dirò 6”.

“Stia tranquilla che il suo paparino non la sgriderà affatto. Le metterà soltanto 2 dita negli occhi perché io 6 li contro”. E così dicendo Est, con fare naturale, sposta la benda nera dall’occhio destro all’occhio sinistro , accavalla la gamba sinistra su quella destra e si infila l’indice destro nella narice sinistra.

L’altro killer, in Ovest, si scosta velocemente la benda nera dall’occhio sinistro per vedere meglio tutta la manovra del partner, dopodiché mette sul tavolo l’8.
Il Paparone stende le sue carte (Figura 1)

Figura 1

Adalgisa dà una prima occhiata alla carta di attacco, una seconda alle carte del morto e …. ecco che la candida, timida zittellina, complessata, appassita, timorata, irrancidita, si trasforma inaspettatamente.
Raddrizza le spalle, si strappa gli occhiali dal naso, toglie le forcine dai capelli e se li sbatte su un occhio alla Raffaella Carrà.

Indi prende dalla borsetta un sigaro toscano e se lo accende con un preciso colpo, strofinando un fiammifero da cucina sulla natica destra (non sul vivo, s’intende: sulla gonna).
I due Killers guardano ammutoliti la scena, mentre le loro fronti si imperlano di sudore, inzuppando le sottostanti bende nere. Hanno capito di essere incappati in una coppia di efferati Bounty Killers e ormai nulla possono fare per salvarsi. Un silenzio di tomba si crea all’intorno e un’atmosfera da tregedia dilaga per tutto il saloon (pardon Salone).

Adalgisa il cui vero nome di battaglia è in realtà “Gysa il compressore”, si rivolge al padre con voce roca rovinata da sigari e alcool etilico: “Bel colpo vecchio!” e così dicendo, prende con l’Adel morto, scartando il K; quindi compie il sorpasso al Ke riscuote quattro giri di atout arrivando al seguente finale (figura 2):

Figura 2

“E’ una smazzata da principianti”, commenta con sufficienza, “solo degli inesperti provincialotti potevano contrare”.

Poi rivolgendosi ironicamente a Est che aveva contrato: “E adesso, bambolotto, cosa scarti?” E così dicendo gioca l’8 mettendoci il 6 del morto.

Il Killer guarda spaventato le sue carte e si accorge che non può privarsi di una  ne tantomeno di una .

Quindi, con rassegnazione scarta il 9. A questo punto Gysa gioca il tre per l’A del morto e ancora, tagliata. Poi F superato dalla Q e quindi quattro fiori per il K di Est, che è costretto in presa.

Il Killer, sulla soglia del collasso rimane con tre carte di in mano e deve giocarne una. Gysa con ghigno diabolico prende con l’A di cuori, mette lentamente sul tappeto il 2 superandolo con il 3 che ha il morto e incassa, con noncuranza, la Q  oramai vincente.

Intanto il Paparone, che (guarda caso!) assomiglia stranamente a Tony Psico, il noto Bounty killer dalla psichica facile, aveva già compilato velocemente lo score, mentre i due Killers non si erano ancora ripresi dallo spavento.
“Cambioooo”, tuona l’altoparlante.

Rapidamente Gysa si ricompone: mastica l’ultimo pezzo di sigaro, raccoglie i capelli sulla nuca con due forcine e infila gli occhiali.

“Buona continuazione, bambolotti”, dice ai due Killers che stanno allontanandosi dal tavolo barcollando, tra attacchi di fegato e travasi di bile. Poi, rivolgendosi alla nuova coppia sopraggiunta, con un sorriso alla Gigliola Cinquetti aggiunge: “Mamma mia come sono emozionata … spero che lor signori mi scuseranno se farò un po’ di confusione, ma… è il mio primo torneo !”

A questo punto interrompiamo la nostra storia, in modo che il lettore possa immaginare a suo piacimento come andranno a finire le altre 24 smazzate… Ma …. Ripensiamo un attimo al racconto appena letto: sfondiamolo della cornice comica e paradossale che gli attori si sono divertiti a creare.

Via, quindi, le bende nere, le forcine, il sigaro toscano e ora … facciamo un piccolo esame di coscienza. Non vi è mai capitato, in torneo, di cercare di approfittare dell’inesperienza della coppia avversaria? Oppure, incontrando una coppia notoriamente forte, non avete cercato di fare il furbetto passando con quindici Punti? Si? Ebbene, anche voi siete un Killer. Oppure un Bounty Killer 🙂

 

IL BRIDGISTA ECOLOGO

by Sergio Invernizzi

Ci fu un periodo della mia vita (bridgistica) in cui pensai seriamente di smettere di giocare.

Erano gli anni del fumo libero.

Ambienti di gara nebbiosi, male odoranti, gli abiti intrisi di molecole di nicotina e carbo-pirene, gole e nasi riarsi per la felicità di otorinolaringoiatri.

Poi finalmente una legge dello stato e un regolamento della FIGB posero la parola “fine” a quelle giornate funeste e malsane dando la possibilità di praticare più igienicamente il nostro hobby e la dignità di chiamarlo sport.

La mia anima da ambientalista ecologo convinto nasce tempi addietro quando decisi di diventare ciclista cittadino da automobilista pentito; è per questo motivo che ho accolto con un certo sorriso la notizia di “ecoterrorismo da SUV” da parte dei “Dègonflès”.

I “Dègonflés” sono nati in Francia nella Banlieue di Parigi, gruppi di ragazzi che considerano i SUV come pericolosi nemici dell’ambiente, quindi puniscono i proprietari sgonfiando i pneumatici dell’auto.

Anche a Milano c’e’ stata la prima vittima. Un collega medico che aveva parcheggiato in zona Città Studi, si è ritrovato il SUV con le gomme mosce e con un biglietto di accompagnamento tra il serio ed il faceto che recitava : “Gentile Signiore/a, la sua auto inquina di più di un veicolo leggero, aumentando le emissioni di CO2 (242 g/km in media contro i 146 di una grossa berlina …) di conseguenza noi procediamo alla copertura parziale del suo debito di ossigeno liberando quello che si trova nei suoi pneumatici obbligandola così a non superare la velocità massima di sicurezza adatta per il suo mezzo”.

Dispettosi ma responsabili ‐ sorrido immaginando in arrivo brutti tempi per i bisonti del traffico urbano – e al proposito voglio proporvi un breve racconto degli anni ‘80 tratto dal notiziario della Canottieri

Lecco, anticipatore di una certa coscienza ecologica.

Come Pascal credo che “Tutta l’infelicità degli uomini derivi da una cosa sola: dal non sapersene stare tranquilli in una stanza”.

PARABOLA ECOLOGICA OVVERO UN WEEK END CON IL DIAVOLO

Una mattina di un sabato d’inizio estate il Dott. S. si risvegliò da un sonno ristoratore e dopo aver consumato una frugale colazione ed eseguito la consueta ginnastica da camera, scese rapidamente le scale, inforcò l’amata bicicletta e si incanalò nel traffico cittadino verso la sede sociale.

Destreggiandosi, un poco stordito, fra i gas di scarico delle auto, gli ritornò alla memoria quel week end di qualche anno addietro quando la sua coscienza ecologica fu opportunamente risvegliata.
In quel sabato mattina aveva compiuto i medesimi gesti, era però salito sulla propria automobile entrando, da vittima e artefice, nella spirale della catastrofe ecologica.

Mentre l’auto scivolava verso il congesto traffico cittadino, con la coda dell’occhio lo vide sul sedile accanto con un sorriso sardonico e da reprovo; quasi certamente era il diavolo che con la voce suadente iniziò: “ Tu non sai che i motori a scoppio emettono in una grande città come Milano, più di 12 miliardi di metri cubi di gas all’anno; benzene, ossido di carbonio, anidride solforosa, polveri carboniose, diossido di azoto, piombo‐tetraetile; un cocktail davvero satanico!

Tra gli inquinanti il benzene è stato classificato dall’organizzazione mondiale della sanità fra i cancerogeni umani accertati in particolare nel sangue, le leucemie. E che dire dell’ossido di carbonio, un subdolo gas che si combina coi globuli rossi impedendo di veicolare l’ossigeno ai tessuti …”.

“Uno strangolamento chimico” ribatté il Dott. S.

“E i composti del piombo? Si accumulano lentamente nell’organismo intossicando il fegato e il sistema nervoso sino a dare, soprattutto nei bambini, gravi problemi comportamentali e ritardo dello sviluppo psichico”.

“Avevo letto qualcosa ….” si giustificò il Dott. S.
“Quanti chilometri fai all’anno con questa auto?”.
Ventimila, credo” rispose sentendosi oscuramente coinvolto.
“Ebbene, ogni anno semini dietro di te una nuvoletta di 2 kg. di piombo che è stato già reperito fino nei ghiacciai alpini e ai poli. E ogni 1000 Km consumi più ossigeno di un uomo in tutta la sua vita. Lo sapevi?”.
No” rispose distrattamente il dott. S.
Giunti sul viale antistante al club videro un bull dozer che sradicava, ormai rinsecchite, alcune piante secolari; il truce individuo sommessamente sogghignò e quindi entrarono nel cortile mentre la vecchia caldaia sbuffava attraverso il camino i suoi mefitici gas.

“Certo, anche in quest’ angolo di quiete, non scherzate in quanto a scarichi!” incalzò con ghigno satanico.
Verso mezzogiorno, seduti al tavolo del ristorante in riva al lago, riprese il colloquio: “

Buono questo pesce” mormorò il tristo figuro “mi ricorda Minimata”.
Minimata?
“Era una piccola baia in Giappone i cui pescatori diedero un brutto giorno segni di squilibrio mentale con gravi allucinazioni”.
Il Mercurio?
“Già. Alcune industrie chimiche lo scaricavano liberamente in mare e il lento accumulo negli organismi marini, che venivano mangiati, provocò quegli infausti episodi.

Vuoi una cozza? Forse contiene un po’ di benzo-pirene. O preferisci una bella mela colorata con la sua brava dotazione di molecole di pesticidi?”.
Il Dott. S. si vide improvvisamente nelle vesti di Biancaneve e cercò di sorseggiare un po’ d’acqua.
Vedo che bevi acqua minerale …
Per forza, l’acqua naturale è imbevibile!
E’ vero”, riprese il diavolo, “ ma per far giungere sulla tavola questa acqua è stato necessario costruire delle bottiglie in plastica, tappi a corona, attrezzature per l’imbottigliamento e l’uso di enormi autotreni per il trasporto dalla fonte fino a qui.

E i residui inquinanti di tali operazioni finiscono nei fiumi e nei laghi creando quello che gli ecologi chiamano un ciclo infernale”.

Sotto i colpi nefasti del perfido essere il Dott. S. si portò sulla spiaggia in riva al lago in cerca di tranquillità; due motoscafi enormi attraversarono il bacino con frastuono lancinante. La voce profonda riattaccò “Il rumore provoca disturbi ormonali, ipertensione, riduzione del sonno e aggressività”.
L’aggressività … in quel momento S. immaginò di far sprofondare l’ospite nell’acqua cosparsa di grovigli d’alghe, di pesci morti e di barattoli di plastica.
“Te li ricordi i quattro cavalieri dell’Apocalisse? Ebbene il quinto è forse il benessere tecnologico?”.

PROBLEMI DI ATTACCO
Non vi domandiamo di indicare il miglior attacco bensì di indovinare qual è stato l’attacco che ha preceduto il disastro.

Smazzata N° 3

(1) 4+ carte.
(2) Negativo.
(3) Picche più lunghe, Forte.

Le carte di Ovest

Smazzata N° 4


Le care di Ovest

SOLUZIONI:
Smazzata n° 3

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Nella bermuda bowl del 1958, Ovest per gli USA attaccò con l’A. La sua continuazione in atout è venuta troppo tardi – il Sud Italiano ha tagliato 2 al morto e un’altra l’ha scartata sull’A . All’altro tavolo gli USA si sono fermati a 4.

Visto che Ovest aveva il K di avrebbe dovuto capire che la cue bid a di Nord era stata fatta col singolo. Ciò avrebbe dovuto indirizzarlo verso l’attacco a .

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Smazzata n° 4

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Nella fase eliminatoria dell Bermuda Bowl del 1975 – USA contro Italia – un Ovest americano ha attacato di 2. Il giocante l’ha lasciato girare fino alla propria Q e ha fatto il suo contratto.

Nell’altra sala l’italiano ha fatto 3con le carte di Est‐Ovest.

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NECRO(E)LOGIO DI UN CAMPIONE

by Sergio Invernizzi

Il Dottore Luciano Spreafico ci ha lasciato all’inizio dell’estate del 2008, in punta di piedi,

In verità ci aveva privato della sua presenza già da qualche tempo.

Una nebbia come un velo era calata lentamente davanti ai suoi occhi.

Classe 1922 noto ed apprezzato professionista-oculista in città e provincia è stato valente conoscitore degli scacchi e del nostro amato gioco, il bridge, forse il più bravo.

Personalmente ho avuto la fortuna di conoscerlo e di averlo come maestro negli anni ’80 (insieme all’indimenticato Renzo Rosi), quando andavano molto di moda i concorsi licitativi e di gioco su alcune riviste nazionali (Panorama) e specialistiche.

Mi fece scoprire nuovi modelli di licita fino ad allora poco praticati, come l’uso del CONTRO (rosso) e del PASSO (verde) molto più costruttivi rispetto a ripetizioni del colore o del SA.

Quando si è sparsa la notizia della sua morte in Canottieri (era socio) sono arrivate le solite e francamente inutili domande sul come e sul quando e del perché non giocava più all’amata partita libera.

Era un grande giocatore, certamente un terribile brontolone.

I bridgisti, in genere amano essere ricordati esattamente per come si era, senza speciali benemerenze o aneddoti leggendari.

Aveva un notevole senso ironico della realtà bridgistica, a volte con battute un po’ sarcastiche con quell’ammiccamento attraverso le spesse lenti degli occhiali e “Se te ghet in quel cervell?” poteva essere la conclusione di una mano non giocata al meglio …… oppure amichevolmente con l’espressione “CRAPOTI!” nei confronti del compagno di cui comunque aveva un grande rispetto.

E’ stato un eccellente interprete del nostro amato sport, contribuendo in modo
profondo alla continuità ed al miglioramento tecnico del gioco.

Alla richiesta di chiarimenti di una mano, ti spiegava lucidamente e con grande senso logico, tra un colpo di tosse e l’altro, quale doveva essere lo sviluppo, il timing e la probabilità della distribuzione.

Grazie Luciano, ti sia lieve la terra.

Storia del Bridge – Colpo Deschapelles

E’ noto che il bridge ha come progenitore il cosiddetto “WHIST” a sua volta derivato da altri giochi praticati in Inghilterra fino alla metà del 1700.

Infatti nel 1742 E. Hoyle pubblica a Londra il trattato “a short treatise on the game of whist”, il cui impatto è tale che in pochi anni diventerà il gioco di carte più in voga in tutta Inghilterra.

Era giocato da quattro persone, coppia contro coppia, 52 carte (in origine 48), l’ultima carta era scoperta sul tavolo ed identificava l’atout; il distributore la prendeva al proprio turno e la riponeva fra le sue carte.

Le regole del gioco erano le stesse a quelle del bride attuale, senza il morto che gioca a carte scoperte (sarà una modifica successiva)

Per ogni coppia le prime sei prese erano obbligatorie, mentre la settima e tutte le successive valevano un punto ognuna.

La partita si vinceva raggiungendo i sette punti, inoltre erano previsti premi di punteggio per la vittoria e per gli onori (come in partita libera).

Voglio proporvi a tale fine un brano di uno dei romanzi più famosi della letteratura mondiale, “Il Circolo Pickwick” (abbreviato in The Pickwick Papers), di Charles Dickens, pubblicato a puntate tra il 1836 e 1837, comico resoconto delle avventure e disavventure di Samuel Pickwick, Augustus Snodgrass, Tracy Tupman e Nathaniel Winkle (tutti membri del circolo).

Suvvia, suvvia, intervenne sollecito il padrone ansioso di mutar soggetto, che ne direbbe signor Pickwick di una partita a carte ?

Proprio quel che vorrei, rispose l’interpellato, ma la prego di non farlo per me.

Oh, mia madre è appassionatissima al gioco, disse il signor Wardle, nevvero madre? La vecchia dama rispose affermativamente, mostrandosi al riguardo molto meno sorda del consueto.

Joe, Joe urlò il signore anziano, Joe maledetto ragazzo …. Oh, eccoti qua! Metti fuori i tavolini da gioco.

Quel giovinetto sonnolento collocò senza bisogno di altri incitamenti due tavolini pieghevoli: l’uno per giocarvi a “Papessa Giovanna”, l’altro per il WHIST.
I giocatori di whist erano il signor Pickwick e la vecchia dama contro il signor Miller e il signore grasso; tutti i restanti si riunirono per l’altra partita.

Il gioco fu condotto con quella gravità di comportamento e quel contegno calmo che si convengono a un rito il cui nome significa “zitto”: cerimonia solenne alla quale, ci sembra, il titolo di “gioco” è stato attribuito con grande inconsideratezza e sconvenienza.

D’altra parte, il secondo tavolino era così allegro e rumoroso da interrompere i calcoli del signor Miller il quale, non riuscendo a concentrarsi così come avrebbe dovuto, si rese colpevole di vari alti crimini e reati che non mancarono di suscitare l’ira più smisurata del signore grasso e di eccitare, in pari proporzioni, il buonumore della vecchia dama.

Ecco qua disse il delinquente Miller con voce di trionfo, raccogliendo le carte al fine del giro, non avrei potuto fare giocare meglio, ne sono lusingato; sarebbe stato impossibile fare un’altra mano.

Miller avrebbe dovuto chiedere quadri, non le sembra signore ? domando la vecchia dama.

Il signor Pickwick annuì.

Avrei dovuto, avrei? chiese lo sventurato appellandosi nel dubbio al compagno.

Avrebbe dovuto, rispose il signore Grasso con voce terribile.

Me ne dispiace, disse il signor Miller, a cresta ciondoloni.

Troppo tardi oramai, brontolò il signore Grasso.

Due di onori e ci portiamo a otto, disse il signor Pickwick.

Un’altra mano. Può tenere il gioco? Chiese la vecchia dama.

Sì, rispose il signor Pickwick, doppio semplice e partita.

Mai vista tanta fortuna disse il signor Miller.

Mai visto carte simili sbuffò il signor Grasso.

Silenzio solenne.

Giocando il signor Pickwick, la vecchia dama impotente, furioso l’uomo Grasso e intimorito il signor Miller.
Un altro doppio, disse la vecchia dama prendendo nota trionfalmente dell’avvenimento col deporre mezzo scellino e mezzo penny consunto sotto il candelabro.
Un doppio signore, aggiunse il signor Pickwick. Me ne sono perfettamente accorto signore, rispose seccamente il signore Grasso.
Un’altra mano con risultato simile, venne seguita da una rinunzia dello sfortunato signor Miller, al che il signore grasso cadde in uno stato di alta tensione personale che durò fino al termine della partita, ed allora costui si ritirò in un canto restandovi perfettamente silenzioso per la durata di un’ora e ventisette minuti, al termine dei quali egli emerse dal suo ritiro per offrire al signor Pickwick una presa di tabacco con l’aria di un uomo rassegnato a perdonare cristianamente le offese ricevute.

L’udito della vecchia dama andava intanto decisamente migliorando, e lo sventurato signor Miller si sentiva fuori del proprio elemento naturale come un delfino dentro a una garitta.
Intanto all’altro tavolo il gioco procedeva allegramente.

Storia del bridge e quindi storia dei colpi celebri nel gioco della carta.

Eccone qualche esempio.
Deschapelles.
Il colpo di Deschapelles detto così dal nome di un grande giocatore di WHIST Alexander Louis Honorè Lebreton Deschapelles, vissuto in Francia dal 1780 al 1847, consiste nel sacrificare un onore teoricamente vincente allo scopo di procurare un’entrata al proprio compagno.

Lo schema ridotto è il seguente:


A senza atout se Ovest gioca la sua Q il dichiarante non può impedire ad Est di vincere una presa con il K e quindi di entrare in mano.
Un esempio da smazzata completa è dato dal seguente contratto di 3NT.

Ovest attacca con il F di e dopo aver vinto la presa torna nel colore.

Est prende con il 10 e fa saltare l’Asso di Nord. Sud tenta il sorpasso a ed Ovest prende con il K e gioca la Q di (colpo di Deschapelles).

Il dichiarante non può realizzare nove prese senza cedere il 10 di a Ovest che fa cadere il contratto trasferendo la mano ad Est al quale ha procurato un  rientro con il K .

IL SALOTTO BUONO PARTE I – II – III

PARTE I

by Sergio Invernizzi

Mi ha sempre affascinato quando, nella letteratura ottocentesca, ho incontrato il salotto buono: luogo di incontro, di conversazione, di giochi, di nuove o consolidate amicizie.

Mi sono soffermato ad immaginarne l’ambientazione e le caratteristiche.

Certo si trovava nella parte migliore del palazzo laddove potevano prepotentemente affacciarsi le preziosità dell’ambiente naturale circostante; certo le persone, incontrandosi formavano una piccola preziosa comunità coltivando soprattutto l’amicizia.

Nessuno poteva sentirsi solo; era inesistente l’indifferenza per le altrui ambasce; mi convincevo altresì che gli abituali frequentatori esercitassero le loro capacità naturali mantenendo così viva la mente sollecitata dall’esercizio competitivo dei praticanti i giochi del tempo, sicchè poco contava anche l’età delle persone vivacizzate dal confronto che sempre veniva in vario modo esercitato.

Mutati i tempi e modificatosi il modo di vivere la quotidianità mi sono chiesto: qualcuno ha colto l’eredità di ciò che offriva il salotto buono? la risposta ve la darò al prossimo appuntamento perché qui ci sta bene un po’ di suspance.

PARTE II

So che, con il passare del tempo, molte vecchie usanze si pietrificano ma, come i corsi e ricorsi storici, anche gli usi e costumi tendono col tempo a riemergere rinnovandosi.

Certo, ma nello stile architettonico e ambientale pratico e funzionale senza nostalgia per l’orrido “rococo”.

Così è: posso perciò rivelarvi che i salotti buoni sono rifioriti, con le loro belle abitudini conviviali ed un consolidato rapporto umano e…… naturalmente le intramontabili carte da gioco.

Esistono: e si moltiplicano, facendo gara nel promuovere iniziative di beneficenza e, come da tradizione, consolidano le amicizie.

E se vuoi conoscerne uno non darmela da bere! se hai cliccato qui sai già dove si trova.

PS: come nei più preziosi salotti di una volta, quale quello di casa Cangiosa incontrerai anche qui una simpatica bestiola che dopo la sua padrona………. era la bestia di maggior riguardo (mi scuso: ma il colpevole è Carlo Porta) .

PARTE III

Da alcuni soci mi viene chiesto perchè, citando nel “salotto buono”, una frase  del noto poeta milanese Carlo Porta, io abbia indicato con il nome di “Cangiasa” la famiglia della famosa marchesa, padrona della cagnolina Lilla (pronuncia “Lila”) mentre, nei testi più recenti ed attuali, la nobildonna presa di mira veniva indicata come appartenente alla famiglia “Travasa”.

La domandata è lecita: il fatto è che, alla morte del Porta, avvenuta nel 1821, il suo grande ed intimo amico Tommaso Grossi raccolse e riordinò gli scritti del Poeta e nella circostanza, poichè nella città di Milano la famiglia “Cangiasa” godeva di grande notorietà, operò la sostituzione del cognome della marchesa in quello di “Travasa” per non urtare la suscettibilità di un casato potente e di grande lignaggio.

I nostri inizi – Lecco Bridge

by Sergio Invernizzi

E’ con vero piacere che mi accingo a curare questa rubrica dopo ripetute sollecitazioni da parte di Federica. Solleticato e blandito nelle mie pulsioni pseudo-letterarie, ho accettato infine di buon grado di scrivere su questo blog confezionato in senso grafico dal solerte Gabriele. Un grazie anche all’arguto amico Giorgio Levi.

I contenuti di queste pagine sono nello spirito del motto della Federazione Italiana Gioco Bridge: Bridge, Hobby, Sport e Cultura però ribaltati, Cultura, Sport, Hobby …. e Bridge (con una certa presunzione).

In questo primo numero vi voglio raccontare quali sono state le nostre radici bridgistiche nei lontani anni ‘60.

Luogo: Società Canottieri Lecco che all’epoca ospitò per un certo tempo il Circolo Sociale che aveva sede nell’immobile del Teatro della Società in ristrutturazione. L’incontro fra giovani studenti liceali e universitari con anziani signori reduci da frequentazioni anglosassoni di matrice bellica produsse una sorta di università del gioco delle carte. Un corso propedeutico che a partire da Scala 40, Ramino, Tressette (ciapasi – ciapanò), Terziglio, Quintiglio, Poker, Telesina (Teresina nell’accezione nostrana) in progressione gerarchica sfociò fatalmente nel bridge con un sistema licitativo alquanto grezzo (tipo acol: dichiaro quello che penso di fare) con qualche variante raffinata del tipo ‘fiori canottieri’ (fiori forte con risposte a scalini 1 = 0-6 – 1= 7-8 etc.); a fronte quindi di dichiarazioni alquanto naif dei praticanti (1NT→ 3NT→ 6NT  oppure 1 → 5 → 6) vi era una capacità di concentrazione, di presenza al tavolo e di gioco e contro gioco della carta sicuramente di buon livello, maturati in quel corso di studi dianzi esposto.

Insomma, con una metafora rapportata al mondo della Formula 1, piloti eccellenti (gioco della carta) che guidano semplici 500 (sistema licitativo).

Un mondo frequentato tassativamente da soli uomini: il genere femminile era confinato solo in una realtà surreale del tipo rappresentato nella vignetta.

Maschilismo imperante !by Giogio Levi

La tipologia del giocatore medio era quella classica, incontrata ripetutamente negli anni a venire in tutti i circoli e i tornei: colui per il quale la tecnica più sopraffina consisteva non nel dichiarare quel che effettivamente aveva, bensì ciò che non possedeva e a maggior vanto, portare a casa un 3NT soltanto perché evitato l’attacco in quel seme. Forse per costoro dichiarazione nel bridge e dichiarazione dei redditi procedono di pari passo!

Altra figura rappresentativa era il giocatore che sceglieva il contratto non in funzione delle maggiori o minori probabilità tecniche, ma in relazione al fatto di poter giocare personalmente la mano; e quindi, con le stesse carte, giocare 4 se nominate prima da lui, 3NT se le picche venivano nominate prima del compagno.

E dove mettiamo il pensatore folle?

Le lunghe meditazioni non in rapporto alla massa neuronale, ma per vizio, sostenute da quei gesti ogni qualvolta si doveva dichiarare o rimettere una carta dopo la presa, con tecnica ripetitiva consistente nello sfilare una carta dalle altre, tenerla sospesa a mezz’aria, rimetterla di scatto fra le altre e riprendere pensamenti prolungati, interrotti solo dai sagaci commenti degli astanti (“più pensi e più ca…..!”).

E l’angolista logorroico, esperto commentatore di fine mano che, dopo aver visionato la distribuzione di tutte le carte, sottolineava errori e citava percentuali.

L’ambiente intriso di fumo di Marlboro e di vapori da superalcolici che generavano in me, giovane studente di medicina, uno stupore pieno di interrogativi su come la capacità di attenzione e concentrazione non si inficiasse in rapporto al whisky assorbito.

La parte agonistica consisteva nella classica choutte a 5 in partita libera con un linguaggio bridgistico a volte raffinato come squeeze e doubleton, intercalato con varianti nostrane come gli scighez (leggi chicane).

Per oggi basta ricordi ……

Per gli inguaribili amanti di questo sport (o alambicco?) mentale è sempre piacevole assistere e commentare qualche smazzata particolare.

E’ noto che, come in tutte le discipline agonistiche, esistono delle gerarchie consolidate sia di gruppo che di coppia, tali che il presunto più forte abbia (quasi) sempre ragione. Ecco una breve storia tipica fra il partner e lo scrivente:

Dopo l’apertura di 3 in barrage di ovest giungiamo in partita libera al contratto di 6NT.

Attacco K, Est scarta , ed io prendo con l’Asso ed incasso 5 giri di . Ovest e il morto, dopo aver risposto, scartano le , Est dopo aver risposto due volte scarta 3 .

Incasso Asso e K di , su cui tutti rispondono e cerco di contare la mano avversaria; Ovest era partito con 3, 2 e 7. Quindi la tredicesima carta doveva essere o una  o una .

Se era una ,  l’impasse a su Est era una certezza, se invece era una  la possibilità che NON fosse la Q erano ancora 7 a 1 in mio favore. Forte di questa brillante analisi, gioco piccola  dal morto passando il J … e con mia sorpresa (e brivido del pubblico) vado 4 down perché la smazzata era la seguente:

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Mentre mi lamento della cattiva sorte, il mio partner, superato lo sconcerto del 4 down, mi fa notare: ” Non sarebbe stato meglio mettere in mano Est con la quarta  ?”. “Non sarebbe servito a nulla” ribatto “perché se Est avesse avuto la Q di , sarei rimasto bloccato”.

 A questo punto avete notato il mio errore?

Perfidamente il mio partner continua: “Bloccato? Io avrei incassato il K di  invece di fare quell’impasse idiota! Se ovest scarta , io incasso la Q di  e poi gioco ancora  dal morto scartando il J di . Est è costretto in presa e deve giocare verso la forchetta A e 10 di  del morto e tanti saluti”.

Dopo questa bella spallata alla gerarchia di coppia, ecco un buon consiglio: Contate sempre la mano … ma poi giocate con intelligenza!!!

Buon Bridge